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La cultura non si ferma. La spedizione dei fratelli Bandiera
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L’Archivio di Stato di Cosenza vuole rendere omaggio, ancora una volta, ai fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera per riaccendere la memoria su valori e ideali quanto mai attuali, che caratterizzarono i protagonisti di un episodio amaro del Risorgimento italiano. Al di là della propria storia e dei propri confini, i Bandiera furono trasportati dalla fortissima fede in un’Italia unita democraticamente in repubblica e con coraggio affrontarono l’ignoto nella nostra terra calabra, per difendere l’idea di un popolo libero raccolto dietro una sola bandiera.
La banda degli “esteri”.
Il moto cosentino del 15 marzo 1844 terminato con 43 condanne di cui 21 a morte era parso ai cospiratori residenti in patria e sparsi nelle terre d’esilio, il principio di una grande azione, che ben sorretta e condotta avrebbe portato al rivolgimento in Italia, a tutto vantaggio della causa dell’unità. Per i fratelli Bandiera, ex ufficiali della marina austriaca, al servizio di S.M. l’Imperatore d’Austria, l’idea di effettuare uno sbarco sulle coste Ioniche della Calabria, nei pressi di Cotrone, per continuare la rivolta, prevalse su progetti e piani d’invasione in diverse parti d’Italia meditati a lungo dopo aver disertato dalla marina austriaca.
Le vicende che determinarono lo sbarco dei fratelli Bandiera in Calabria, il loro arresto e l’eroico martirio per la causa della Patria sono tratte dagli interrogatori contenuti negli atti processuali, all’indomani dell’arresto. (ASCS, Gran Corte Criminale, Processi politici, b. 21 bis).
Partiti da Corfù, sbarcarono la notte del 15 giugno 1844 e dopo una lunga marcia sostarono in una masseria in località Poerio, di proprietà di Filippo Albani. Qui presero accordi col fittavolo di questi Gerolamo Caloiero e con altri tra cui Bruno Abbruzzino per essere scortati e guidati fino a Corazzo. Chiesero inoltre viveri e una vettura per il trasporto. Erano circa 20-22, armati con fucili, alcuni con pistole e coltelli, dai modi gentili “fratelli cari, noi siamo galantuomini, andiamo contro i malviventi” e vestiti in modo inusuale per i calabresi, portavano infatti camicia blu con bavero e paramani rossi, sciaccò d’incerata nera con coccarda rotonda a tre colori, bianca, rossa e verde.
Il Caloiero, nel corso dell’interrogatorio, riferì il contenuto del colloquio avuto con gli “esteri” e le loro intenzioni, tra cui liberare i carcerati di quella provincia e, poiché erano attesi da persone che potevano condividere e mettere in atto il loro disegno, avevano bisogno di tanta gente armata al loro seguito. Infine gli consegnarono un manifesto incitante alla rivolta, diretto alla valorosa gente di Calabria, da divulgare nelle piazze e nelle case, “onde raccogliere gente al loro partito”.
Decisi a raggiungere la città di Cosenza, marciando di notte e di giorno, la sera del 17 giunti nei pressi di Santa Severina, si accorsero che mancava un compagno, Pietro Boccheciampe e, supponendo che si fosse smarrito lo cercarono e l’attesero per lungo tempo. Alla fine chiesero di far recapitare all’Abbruzzino un biglietto firmato da Attilio Bandiera, che però fu dimenticato dal consegnatario e quindi mai recapitato. Si trattava di una richiesta di protezione per l’amico smarrito, che nel frattempo li aveva già denunciati: “Ieri vi abbiamo chiamato nostro amico e per tale vi crediamo … abbiamo sventuratamente perduto un nostro compagno quindi adesso vi preghiamo di fare quanto più potete per salvarlo. Per adesso non potete dare maggior prova di amicizia e di patriottismo, A. Bandiera.
Infatti il Boccheciampe, la mattina del 18 giugno, raggiunse Crotone e fece la sua deposizione all’Ispettore di Polizia. Da questo momento si mette in moto la macchina della giustizia per la cattura degli insorti.
La sera del 19 giugno, a pochi giorni dallo sbarco sul suolo calabrese, i fratelli Bandiera e i loro compagni avevano finito il loro coraggioso ma non inutile tentativo. Dopo essere stati assaliti anche da contadini armati, furono arrestati a San Giovanni in Fiore e quattro giorni dopo la cattura, tradotti nelle carceri di Cosenza.
La banda degli “esteri” non fu giudicata dalla magistratura ordinaria, ma rinviata al giudizio di una Commissione Militare. L’imputazione principale era di cospirazione ed attentato all’ordine pubblico, il cui oggetto era quello di far cambiare il Governo e di eccitare i calabresi a sollevarsi contro il Re Ferdinando II. Seguivano altre accuse tra cui sbarco furtivo nel Regno a mano armata con bandiera tricolore, infrazione alle leggi sanitarie del Regno, resistenza ed attacco alla forza pubblica.
Il 25 luglio furono fucilati nel vallone di Rovito a Cosenza. (ASCS, Stato Civile del comune di Cosenza, 1844, Atti di morte ).
© 2021 MiC - Pubblicato il 2020-04-14 18:03:35 / Ultimo aggiornamento 2020-04-14 18:03:35
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