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Teatro dell'Opera di Roma: Quanto ci è vicino l'"Amour de Loin"
Testo del comunicato
Nonostante il difficile momento che sta attraversando il Teatro dell'Opera di Roma, l'orchestra della Fondazione ha presentato sabato scorso, fuori abbonamento, uno dei concerti più interessanti della stagione. Interessante non soltanto per il merito dell'esecuzione e per i contenuti del programma, ma anche perché consente di tornare a parlare di una questione già più volte affrontata dal VELINO: lo stato del teatro d'opera contemporaneo in Italia, paese in cui “la musa bizzarra ed altera” è nata poco più di 400 anni fa e dove ha avuto i suoi maggiori momenti di successo anche commerciale nella Venezia del Cinquecento e poi nel resto della Penisola dalla fine del Settecento ai primi decenni del Novecento. Il concerto, occorre precisarlo, non è stato presentato in una delle tre sedi consuete della Fondazione (il Teatro Costanzi, il Teatro Nazionale e, in estate, le Terme di Caracalla), ma nell'aula magna dell'università “La Sapienza” (un magnifico auditorium con acustica perfetta e un superbo murale di Sironi) nell'ambito di una collaborazione con l'Istituzione universitaria dei Concerti (Iuc) cominciata diversi anni fa. Va detto che il palcoscenico del Costanzi era occupato dalle prove della “Iphigenie en Aulide” di Gluck che verrà diretta da Riccardo Muti nella seconda metà del mese. Tuttavia, l'aula magna della “Sapienza” era particolarmente adatta poiché l'Iuc ha un cartellone che pone l'accento sulla musica contemporanea, come s'addice a un'istituzione frequentata da giovani e che pratica una politica di bassi prezzi.
Il concerto era diviso in due parti, due lavori composti a quasi un secolo esatto di distanza l’uno dall’altro: “Cinq Reflets sur l'Amour de Loin” di Kaija Saariaho e la “Quinta Sinfonia di Gustav Mahler. Elemento unificante dei due lavori: il viaggio dell'amore oltre la morte. Ha diretto una delle più prestigiose bacchette internazionali, Kazushi Ono, ora direttore musicale de l'Opéra National de Lyon. L’opera di Mahler è notissima, anche se il grande pubblico la conosce principalmente per l'“adagetto” preso in prestito da Luchino Visconti per una dei suoi film di maggiore successo (“Morte a Venezia”). Sarebbe pleonastico dire che, con un direttore della stazza di Ono (o di quella di Muti), l'orchestra produce un suono più avvincente di quello che si ascolta di solito in teatro.
Interessante, quindi, soffermarsi sulla “prima” italiana del lavoro di Kaija Saariaho, una delle più note compositrici finlandesi, anche se di scuola francese (fondamentale la sua esperienza all'Istitut de Recherce e Coordination Acoustique/Musique. I “Cinq Reflets” sono una versione abbreviata, per sala da concerto, di un'opera commissionata dal Festival di Salisburgo (“L'Amour de Loin”), dove è andata in scena nel 2000, per la regia di Peter Sellars quando è stata acclamata come la migliore composizione di teatro in musica dell'anno. In questi nove anni è stata replicata o ripresa in numerosi teatri dell'Europa e del Nord America e un nuovo allestimento è in programma a Londra, all'English National Opera, nella prossima stagione. Il pubblico italiano, o meglio romano, si deve accontentare di un “Bignami”: cinque episodi (di cui due a due voci) per soprano (una magnifica Caroline Stein di cui alcuni ricorderanno il successo, lo scorso autunno, in “Water Passion” di Tan Dun rappresentata alla Sagra Malatestiana) e per un superbo baritono, Otto Katzameier, grande interprete di una delle più importanti opere di Berio, “Un re in ascolto”). Un “Bignami” succulento, che fa venire appetito perché prima o poi si possa avere una messa in scena intera dell'opera.
Su libretto dello scrittore franco-libanese Amin Maalouf (Premio Goncourt del 1993), l'opera è tratta da un poema di un trovatore (Jaufre Rudel) del XII secolo. Si narra dell'amore, corrisposto, di un uomo per una donna che non ha mai visto e con cui ha solo un rapporto epistolare (con i tempi ed i modi del XII secolo). Quando lui decide di mettersi in viaggio e di traversare il Mediterraneo per incontrarla, si ammala mortalmente e giunge a destinazione unicamente in tempo per morirle tra le braccia prima che lei decida di entrare in convento. Una vicenda, potrebbe sembrare, distinta e distante dal nostro tempo. Eppure, grazie agli affascinanti versi di Maalouf e alla ricca partitura di Saariaho, basata su un grande organico orchestrale e su un declamato vocale che scivola in ariosi, viene ritenuta accattivante proprio dal pubblico più giovane. Molto interessanti la scrittura sia orchestrale sia vocale: è contemporaneità assoluta, senza cedimenti a tentazioni neoromantiche come quelle di Marco Betta e di Luca Mosca. Ed è una contemporaneità che il pubblico apprezza e gradisce, come dimostrato, tra l'altro, da coloro che anche da Roma sono andati alcune settimane fa a Bolzano e a Merano per ascoltare quel gioiello di “Julie” di Philippe Boesman, che proprio Kazushi Ono ha tenuto a battesimo nel 2005 a La Monnaie di Bruxelles e al Jeu de Pomme di Aix en Provence, facendogli iniziare un percorso che lo ho portato in tutta Europa e non solo.
La questione è semplice e nel contempo importante: se l'opera italiana contemporanea continua a baloccarsi con rimasticature di ciò che piaceva ai nostri nonni, è destinata a sparire. Del resto non mancano autori e lavori di spessore. Perché “The Banquet” di Marcello Panni o “Le parole al buio” di Paolo Furlani non hanno trovato nessuno che abbia avuto il coraggio di rimetterle in pista nonostante il successo della prima rappresentazione e della prima tornata di repliche?
(Fonte dati: IL VELINO CULTURA)