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INTERVISTA DEL MINISTRO SU LA STAMPA Ornaghi: "Christillin all'Egizio. Torino un modello da seguire"
Testo del comunicato
Intervista al ministro Ornaghi:
BIENNALE "Ritardo? No, abbiamo fatto una selezione e siamo in linea con il passato"
SALONE DEL LIBRO "Non vado all'inaugurazione ma non è un segno di scarsa considerazione"
POMPEI "E' la metafora del Paese e forse dell'Europa, servirà l'aiuto del privato-sociale"
LE SCELTE "Basta con la conservazione, è tempo di innovazione. Vendere il Colosseo? Mai"
Professor Ornaghi, a settembre scade il mandato di Alain Elkann alla presidenza della Fondazione Museo Egizio di Torino. Avete il nome del successore?
«Si, e l'ho anticipato oggi stesso (ieri, ndr) ai soci fondatori. E' Evelina Christillin. La designazione, quattro mesi prima della scadenza del presidente Elkann, che non è più rinnovabile, consentirà l'affiancamento e quindi di proseguire senza interruzioni l'eccellente lavoro sin qui svolto. E' il modello di designazione in uso nei più grandi musei internazionali».
Il nome è prestigioso.
«Si ma lo abbiamo scelto anche per molti altri motivi, non ultimo per le sua capacità nel fundraising».
La signora Christillin vi ha comunicato i suoi progetti?
«Ne abbiamo parlato, ma ci sarà tempo per approfondire. Posso dire che del Museo Egizio conservavo i ricordi bui e oppressivi, specie davanti alle mummie, delle visite da bambino. Ci sono rientrato pochi mesi fa e ho scoperto un luogo magico, splendido, gestito con criteri moderni, giudizio che vale per tutto il sistema museale piemontese».
Lì c'è un'importante partecipazione dei privati.
«Certo, ed Evelina Christillin è la persona giusta per proseguire così. I fondatori diversi dallo Stato - Regione, Fondazione Crt, Compagnia di San Paolo e altri privati - contribuiscono alla copertura delle spese di funzionamento. A questo si aggiungano i corposi ricavi della biglietteria e del bookshop. In più c'è un'efficiente rete che unisce il Polo Reale, alla Venarla, a Stupinigi. Quello dell'Egizio è il modello a cui vorrei si ispirasse la Grande Brera».
Però intanto progetta il commissariamento del Maxxi per motivi di bilancio. Ma li siete voi che avete ridotto i contributi.
«Non è vero».
Ma come, da quattro a due milioni in un anno...
«Erano contributi straordinari erogati da Arcus per lo start up e non possono diventare permanenti».
Beh, ma non si può commissariare cosi da un momento all'altro.
«Veramente i primi forti richiami sono del mio predecessore, Giancarlo Galan, che ha pubblicamente condiviso il mio intervento. Poi sono arrivati i miei. Da un anno il ministero chiede al Maxxi di trovare partner economici, come dice lo Statuto. E purtroppo non ci sono state novità significative».
Cioè partner privati?
«Ma certo. Come a Torino. La relazione del vigilante, Mario Resca, è stata severa e allarmante. Si rischia che fra pochi mesi non ci siano i soldi per gli stipendi».
Si dice che la sua intenzione sia proprio quella di mettere, anzi di piazzare Resca.
«Intanto stiamo valutando attentamente le controdeduzioni del Maxxi. Se servirà il commissario, non sarà Resca».
Com'è che non c'è ancora il curatore del padiglione italiano alla Biennale di architettura?
«Siamo in linea coi tempi dei predecessori».
Non vero, Vittorio Sgarbi fu nominato a gennaio.
«La scelta legittima di Sandro Bondi fu di nominare il curatore di sua fiducia. Altri, prima di lui, fecero una selezione fra tre o quattro architetti. Noi l'abbiamo fatta fra undici, e ce ne sono sia di noti e importanti sia di giovani e promettenti. I progetti saranno presentati entro oggi (ieri, ndr)».
Però siamo in ritardo.
«Se lo siamo, il ritardo è al massimo di una settimana. Ma siamo convinti che attraverso questa procedura ne conseguirà un scelta limpida, ci auguriamo innovativa e coerente con il tema della Biennale».
Seguirete lo stesso criterio per la Biennale Arti Visive?
«Non lo escludo».
Davvero non va all'inaugurazione del Salone del Libro?
«Non è affatto un segno di scarsa considerazione. Il 10 maggio dovrò essere a Bruxelles con tutti i ministri della cultura europea. Ma al Salone cercherò comunque di andare».
Passiamo a Pompei. Bondi non c'è più ma la città continua a crollare.
«Pompei è la metafora del Paese e forse dell'Europa: come lo spread, basta un niente e viene giù qualcosa».
A questo punto non ci vorrebbe un intervento internazionale?
«Il primo passo sarà di usare bene i 105 milioni arrivati dall'Ue. La presenza di un prefetto ad hoc, che si è occupato di antiracket, sta rassicurando e attirando le aziende per gli appalti. Poi, anche qui, ci vorrà il contributo e il sostegno del privato-sociale. Senza dimenticare il grande interesse internazionale, per esempio quello manifestato dall'Unesco».
Un interesse economico?
«Vediamo se alle intenzioni seguiranno i fatti».
Vede, l'impressione è che cambiano i ministri ma le politiche culturali restino polverose.
«Sono d'accordo».
E quindi?
«E quindi bisogna trovare il modo di uscire da una politica culturale più incline alla conservazione che all'innovazione. Bisogna far capire che la cultura è uno dei fondamentali diritti in cui si concreta l'essere cittadino...».
Professore, se un giapponese va sul Palatino, non ci capisce nulla, non c'è una didascalia, un disegno che mostri come e che cosa fosse...
«Sono d'accordo. E talmente d'accordo da esser disposto a subire la raffica di critiche per ogni due righe tradotte...».
Forse sarebbe il caso di vendere il Colosseo ai cinesi.
«Solo se si è un popolo di mendicanti, o molto snob. Amo l'Italia e dico mai e poi mai. Anzi, sarebbe necessario che ogni italiano sentisse come propri gli straordinari tesori della nostra storia e della nostra cultura».
Intervista a cura di Mattia Feltri
BIENNALE "Ritardo? No, abbiamo fatto una selezione e siamo in linea con il passato"
SALONE DEL LIBRO "Non vado all'inaugurazione ma non è un segno di scarsa considerazione"
POMPEI "E' la metafora del Paese e forse dell'Europa, servirà l'aiuto del privato-sociale"
LE SCELTE "Basta con la conservazione, è tempo di innovazione. Vendere il Colosseo? Mai"
Professor Ornaghi, a settembre scade il mandato di Alain Elkann alla presidenza della Fondazione Museo Egizio di Torino. Avete il nome del successore?
«Si, e l'ho anticipato oggi stesso (ieri, ndr) ai soci fondatori. E' Evelina Christillin. La designazione, quattro mesi prima della scadenza del presidente Elkann, che non è più rinnovabile, consentirà l'affiancamento e quindi di proseguire senza interruzioni l'eccellente lavoro sin qui svolto. E' il modello di designazione in uso nei più grandi musei internazionali».
Il nome è prestigioso.
«Si ma lo abbiamo scelto anche per molti altri motivi, non ultimo per le sua capacità nel fundraising».
La signora Christillin vi ha comunicato i suoi progetti?
«Ne abbiamo parlato, ma ci sarà tempo per approfondire. Posso dire che del Museo Egizio conservavo i ricordi bui e oppressivi, specie davanti alle mummie, delle visite da bambino. Ci sono rientrato pochi mesi fa e ho scoperto un luogo magico, splendido, gestito con criteri moderni, giudizio che vale per tutto il sistema museale piemontese».
Lì c'è un'importante partecipazione dei privati.
«Certo, ed Evelina Christillin è la persona giusta per proseguire così. I fondatori diversi dallo Stato - Regione, Fondazione Crt, Compagnia di San Paolo e altri privati - contribuiscono alla copertura delle spese di funzionamento. A questo si aggiungano i corposi ricavi della biglietteria e del bookshop. In più c'è un'efficiente rete che unisce il Polo Reale, alla Venarla, a Stupinigi. Quello dell'Egizio è il modello a cui vorrei si ispirasse la Grande Brera».
Però intanto progetta il commissariamento del Maxxi per motivi di bilancio. Ma li siete voi che avete ridotto i contributi.
«Non è vero».
Ma come, da quattro a due milioni in un anno...
«Erano contributi straordinari erogati da Arcus per lo start up e non possono diventare permanenti».
Beh, ma non si può commissariare cosi da un momento all'altro.
«Veramente i primi forti richiami sono del mio predecessore, Giancarlo Galan, che ha pubblicamente condiviso il mio intervento. Poi sono arrivati i miei. Da un anno il ministero chiede al Maxxi di trovare partner economici, come dice lo Statuto. E purtroppo non ci sono state novità significative».
Cioè partner privati?
«Ma certo. Come a Torino. La relazione del vigilante, Mario Resca, è stata severa e allarmante. Si rischia che fra pochi mesi non ci siano i soldi per gli stipendi».
Si dice che la sua intenzione sia proprio quella di mettere, anzi di piazzare Resca.
«Intanto stiamo valutando attentamente le controdeduzioni del Maxxi. Se servirà il commissario, non sarà Resca».
Com'è che non c'è ancora il curatore del padiglione italiano alla Biennale di architettura?
«Siamo in linea coi tempi dei predecessori».
Non vero, Vittorio Sgarbi fu nominato a gennaio.
«La scelta legittima di Sandro Bondi fu di nominare il curatore di sua fiducia. Altri, prima di lui, fecero una selezione fra tre o quattro architetti. Noi l'abbiamo fatta fra undici, e ce ne sono sia di noti e importanti sia di giovani e promettenti. I progetti saranno presentati entro oggi (ieri, ndr)».
Però siamo in ritardo.
«Se lo siamo, il ritardo è al massimo di una settimana. Ma siamo convinti che attraverso questa procedura ne conseguirà un scelta limpida, ci auguriamo innovativa e coerente con il tema della Biennale».
Seguirete lo stesso criterio per la Biennale Arti Visive?
«Non lo escludo».
Davvero non va all'inaugurazione del Salone del Libro?
«Non è affatto un segno di scarsa considerazione. Il 10 maggio dovrò essere a Bruxelles con tutti i ministri della cultura europea. Ma al Salone cercherò comunque di andare».
Passiamo a Pompei. Bondi non c'è più ma la città continua a crollare.
«Pompei è la metafora del Paese e forse dell'Europa: come lo spread, basta un niente e viene giù qualcosa».
A questo punto non ci vorrebbe un intervento internazionale?
«Il primo passo sarà di usare bene i 105 milioni arrivati dall'Ue. La presenza di un prefetto ad hoc, che si è occupato di antiracket, sta rassicurando e attirando le aziende per gli appalti. Poi, anche qui, ci vorrà il contributo e il sostegno del privato-sociale. Senza dimenticare il grande interesse internazionale, per esempio quello manifestato dall'Unesco».
Un interesse economico?
«Vediamo se alle intenzioni seguiranno i fatti».
Vede, l'impressione è che cambiano i ministri ma le politiche culturali restino polverose.
«Sono d'accordo».
E quindi?
«E quindi bisogna trovare il modo di uscire da una politica culturale più incline alla conservazione che all'innovazione. Bisogna far capire che la cultura è uno dei fondamentali diritti in cui si concreta l'essere cittadino...».
Professore, se un giapponese va sul Palatino, non ci capisce nulla, non c'è una didascalia, un disegno che mostri come e che cosa fosse...
«Sono d'accordo. E talmente d'accordo da esser disposto a subire la raffica di critiche per ogni due righe tradotte...».
Forse sarebbe il caso di vendere il Colosseo ai cinesi.
«Solo se si è un popolo di mendicanti, o molto snob. Amo l'Italia e dico mai e poi mai. Anzi, sarebbe necessario che ogni italiano sentisse come propri gli straordinari tesori della nostra storia e della nostra cultura».
Intervista a cura di Mattia Feltri
© 2021 MiC - Pubblicato il 2020-10-27 22:27:24 / Ultimo aggiornamento 2020-10-27 22:27:24