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IL FAI E CASA NECCHI CAMPIGLIO
Testo del comunicato
(Intervento del Ministro on.le Sandro Bondi letto dal Sottosegretario on.le Francesco Maria Giro intervenuto all'inaugurazione)
La mia presenza oggi a Milano, in occasione dell’inaugurazione del restauro di Casa Necchi Campiglio, intende esprimere il mio ringraziamento alla preziosa attività del Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano) e, in particolare, alla sua Presidente Signora Giulia Maria Crespi, “esemplare per l’impegno nella tutela del patrimonio artistico-architettonico italiano”. Il Fondo per l’Ambiente Italiano è nato il 28 aprile del 1975 per volontà della Signora Crespi, di Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli che, consapevoli dell’immensa vastità del patrimonio italiano e dell’impossibilità che la sua tutela potesse gravare solo sullo Stato o su un ristretto gruppo di persone, decisero di fondare il Fai ispirandosi al National Trust inglese. Grazie alla grande passione e alla totale dedizione dei fondatori e dei tantissimi aderenti (oggi oltre 78.000), a distanza di trent’anni il Fai vanta 39 Beni sotto la sua tutela. Il Fai, inoltre, è presente sul territorio nazionale con più di 100 delegazioni, che svolgono attività di grande interesse: gite culturali in luoghi di rilevante valore storico-artistico; concerti, spettacoli teatrali; visite guidate a nostre, musei e complessi monumentali; conferenze e seminari con il coinvolgimento di personalità di spicco del mondo della cultura e dell’arte.
Con Casa Necchi Campiglio si amplia il circuito delle dimore storiche milanesi gestite dal Fai (il Poldi Pezzoli, il Bagatti Valsecchi e la Boschi Di Stefano), circuito regolato da un accordo di programma siglato tra Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Milano, Ministero Beni culturali e Fai. Situata nel cuore di Milano e immersa in uno splendido giardino, Casa Necchi Campiglio è stata realizzata, su progetto di Piero Portaluppi, tra il 1932 e il 1935, e segna l’adesione dell’architetto milanese ai principi del Razionalismo. L’architettura razionale si afferma attorno agli anni Venti: in Francia fa capo a Le Corbusier, in Germania a Gropius, nei paesi scandinavi a Aalto, in America a Wright.
Casa Necchi Campiglio è legata alla famiglia Necchi (famosa per le macchine da cucire), esponente dell’alta borghesia industriale della prima metà del Novecento. Angelo Campiglio e la moglie Gigina Necchi, con la sorella Nedda, provenienti dalla provincia pavese, si inseriscono nell’ambito dell’aristocrazia milanese, grazie soprattutto alla elegante ospitalità della loro casa. Edificata a due passi da corso Venezia e incastonata nel verde dei giardini Cicogna e Sola-Busca, casa Necchi Campiglio riassume il gusto di un lussuoso complesso abitativo, circondato da un ampio giardino in cui trovano spazio la portineria, la serra, il garage, la piscina riscaldata e il campo da tennis.
La casa rappresenta un taglio con la tradizione e perciò un atto di coraggio. I Campiglio, infatti, pongono alla base della loro vita sociale una casa assolutamente moderna, per offrire ai loro ospiti tutte le comodità e i lussi che le tecnologie contemporanee sono in grado di fornire, senza però rinunciare alla qualità e alla dimensione estetica. Alla vastità degli esterni, fanno eco l’altezza e l’ampiezza dei locali interni, che sono dotati dei più innovativi sistemi tecnici, offrendo una sala per le proiezioni cinematografiche e quanto di più aggiornato in termini di comfort (si pensi alla presenza di ascensore, montavivande, citofoni interni ecc.) e di sicurezza (come la grata automatica di protezione all’ingresso, le casseforti e i caveau murali).
Proprio la consapevolezza dell’unicità della loro casa e l’assenza di una discendenza diretta, hanno spinto Gigina e Nedda Necchi, sopravvissute ad Angelo, a lasciare nel 2001 l’intero complesso residenziale in proprietà al FAI, affinché venga trasformato in una casa-museo aperta al pubblico. A completare la casa-museo c’è
un’ ala destinata alla raccolta dell’ imprenditore Alighiero De Micheli, appassionato cultore di arredi francesi e di vedute veneziane di Canaletto e Marieschi.
Il restauro di Casa Necchi Campiglio è stato reso possibile anche dal finanziamento di Fondazione Cariplo, RCS, Media Group, Telecom Italia e Giorgio Armani.
Per troppo tempo in Italia si è pensato che l’architettura potesse essere espressione di cultura soltanto quando veniva costruito un teatro, un museo o al massimo una chiesa. Nel dopoguerra si è costruito molto e male per dare una casa a tutti in tempi brevi. Una volta superata l’emergenza si è però continuato a costruire una serie di periferie mostruose: da quella di Roma a quella di Milano. E sempre per dare una casa a tutti si è finito per trasformare la VaI Padana in un’unica sequenza di agglomerati urbani senza identità o per costruire a ridosso delle ville palladiane del Veneto
La qualità dell’architettura è al contrario una questione culturale di interesse pubblico. Un ingegnere come Riccardo Morandi, che ha firmato il terminaI per i Boeing a Fiumicino o la chiesa alla Magliana, ha saputo realizzare belle forme che si integrano con il paesaggio circostante, nonostante si tratti di periferia. E ancora due esempi a Venezia: la casa alle Zattere di Ignazio Gardella (“un esempio unico di architettura perfettamente inserita in un contesto urbano delicatissimo”) e più di recente la casa sull’acqua progettata da Cino Zucchi. Scendendo più a Sud, l’Auditorium di Renzo Piano (“una riuscita miscela di linee e materiali, uno Spazio unico e bellissimo”), la stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli dove l‘architettura di Alessandro Mendini “convive alla perfezione con le opere di Mimmo Paladino e di Ernesto Tatafiore”. Ho molta fiducia nelle ultime generazioni di architetti italiani, sempre più attente al nuovo: grazie a loro anche ]e nostre città potranno essere presto piene di architettura belle. Lo Stato, dunque, deve valorizzare i suoi strumenti per poter migliorare l’architettura e per punire chi si renda responsabile di abusi.
Occorre dare una risposta concreta, attraverso “progetti esemplari”, all’incuria e all’indifferenza che troppo spesso relegano i beni culturali, storici e artistici in un ruolo di secondo piano. Per questo concordo pienamente col Fai nel togliere un gioiello straordinario come Villa Reale di Monza dal vergognoso stato di abbandono in cui si trova e restituire alla città di Milano il Parco Trotter nel suo originario progetto di “città per l’infanzia”, per valorizzare la nostra storia e quei luoghi che rappresentano Milano.